Matthieu Ricard

Monaco buddista


Biografia

Matthieu Ricard è un monaco buddista che ha vissuto nella regione dell’Himalaya negli ultimi quarantacinque anni. Nato in Francia nel 1946, figlio del filosofo Jean-François Revel e dell’artista  Yahne Le Toumelin. Ha ottenuto il dottorato in genetica cellulare al Pasteur Institute sotto la supervisione del premio nobel Francois Jacob. È andato nella regione dell’Himalaya nel 1967 e ha studiato con alcuni dei più grandi maestri del buddismo tibetano. Ha scritto Il Monaco e il Filosofo, un dialogo con suo padre Jean-François Revel, The Quantum and the Lotus, un dialogo con l’astrofisico Trinh Xuan Thuan; Happiness: A Guide to Developing Life’s Most Important Skill, Why Meditate?Altruism: The Power of Compassion to Change Yourself and the World and A Plea For The Animals. In qualità di fotografo, ha inoltre pubblicato diversi libri fotografici, tra cui Motionless Journey: From a Hermitage in the Himalayas (vedi http://www.matthieuricard.org).

È un attivo collaboratore alla ricerca scientifica sugli effetti della meditazione sul cervello, lavorando in stretto rapporto con il Mind and Life Institute, ed è l’interprete francese per il Dalai Lama sin dal 1989. Vive nel Monastero Shechen (vedi www.shechen.org) e dona tutti i ricavi dei suoi libri, e gran parte del suo tempo, a 200 progetti umanitari in Nepal, India e Tibet (www.karuna-shechen.org) e alla preservazione dell’eredità della cultura tibetana(www.shechen.org).

Alcune considerazioni sull’interpretazione buddista della coscienza e della realtà

Abstract

La concezione buddista della coscienza è radicalmente differente dal dualismo cartesiano che postula, da un lato, l’esistenza di una realtà materiale effettivamente esistente e, dall’altro, la coscienza completamente immateriale che non può avere alcuna connessione con la materia. Per il buddismo, il dualismo materia/coscienza è un falso problema dato che nessuna delle due ha un’esistenza intrinseca e indipendente. Secondo la visione buddista, tutti i fenomeni, animati o inanimati, mancano di realtà intrinseca e sono ugualmente privi di esistenza autonoma, ultima. Pertanto, esiste una differenza meramente convenzionale tra materia e coscienza, ma quest’ultima non è semplicemente riducibile alla prima.

Il buddismo considera la coscienza come un fatto primario. Quando si indaga il mondo materiale, si può scendere al livello descrittivo delle particelle elementari e, infine, arrivare al concetto di  vuoto quantistico. Non è invece possibile rispondere alla domanda di Leibniz “perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?”.  Bisogna semplicemente prendere atto della presenza dei fenomeni. È inoltre possibile condurre una simile analisi della nostra esperienza soggettiva, senza la quale non possiamo nemmeno parlare di coscienza. Se si decide di farlo introspettivamente, si arriva alla pura consapevolezza, coscienza di base, l’aspetto più fondamentale della cognizione. A volte, questo viene chiamato l’aspetto “luminoso” della mente. A questo punto, non si può andare oltre e semplicemente bisogna riconoscere la pura consapevolezza come un fatto primario. Di conseguenza, se si esamina la coscienza solo dalla prospettiva “in terza persona” non esiste alcuna soluzione allo “hard problem” di Chalmers.

Ogni flusso di coscienza è unico e, per il buddismo, non esiste qualcosa come una coscienza condivisa, anche se esistono diverse testimonianze di meditatori buddisti che sono stati consapevoli del contenuto della mente di qualcun altro.

La concezione buddista, secondo cui i fenomeni appaiono nonostante siano privi di esistenza autonoma e intrinseca, ed è anzi proprio per questo che questi possono apparire in modi molteplici e impermanenti attraverso un’origine interdipendente che implica una rete infinita di relazioni, ha non poche analogie con la concezione della fisica quantistica.